A tredici anni, un giovanissimo Principe di Napoli – è il 1883 – scrive per il suo insegnante di italiano un tema dal titolo Il mio medagliere nel quale descrive la sua piccola collezione di monete (all’epoca, 75 pezzi appena), frutto di una passione iniziata nel 1879, quando la sua governante irlandese gli aveva donato un soldo di Pio IX.
Nel 1889 la raccolta di Vittorio Emanuele assomma già a 3.000 esemplari circa, divenuti ben 27.000 al momento dell’ascesa al trono d’Italia, nell’estate del 1900. Da quel momento, nonostante gli impegni istituzionali e i difficili momenti storici vissuti fino all’abdicazione, nel 1946, Vittorio Emanuele III proseguirà nella sua raccolta di monete italiane coniate dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente al Novecento, mettendo insieme – al 1° aprile 1940 – ben 103.846 esemplari e dando alle stampe, tra il 1910 e il 1943, il venti ponderosi volumi del Corpus Nummorum Italicorum, ancora oggi opera fondamentale per lo studio della monetazione italiana.
Non stupisce, dunque, che il “Re vittorioso” assuma, ben presto, anche il lusinghiero appellativo di “Re numismatico”, e non soltanto a motivo della sua collezione – donata nel 1947 “al popolo italiano” e oggi conservata al Museo Nazionale Romano – ma anche per la bellezza e la varietà delle monete prodotte con la sua effigie.
L’Italia, dall’alba del XX secolo all’avvento del regime fascista, vive una stagione di crescita e di modernizzazione economica e industriale: l’età giolittiana coincide con i fasti della Belle époque, la raffinatezza dell’arte e dell’architettura Liberty, con le prime avanguardie letterarie ed artistiche e con il consolidamento di una borghesia benestante che, anche del collezionismo di monete, fa una bandiera del proprio status. Allo stesso tempo, tuttavia, il Regno d’Italia vive momenti difficili sotto il profilo sociale, con le stagioni dei grandi scioperi, l’avanzata di nuove forze popolari e socialiste, la Guerra di Libia del 1911-1912 che coincide con il Giubileo del Regno e porta all’Italia i nuovi, vasti territori d’Africa, visti da alcuni in una esaltante prospettiva di progresso e da altri, invece, come “uno scatolone di sabbia”.
L’unità nazionale si completa, al prezzo di 650.000 morti, solo alla fine della I Guerra Mondiale in cui l’Italia, abbandonata la Triplice Alleanza con gli Imperi Centrali, si è schierata dal 24 maggio 1915 al fianco di Francia e Inghilterra. Il Trentino e l’Alto Adige, Trieste e l’Istria si aggiungono così ai territori del Regno d’Italia, ma il lungo e sanguinoso conflitto prostra il Paese a tal punto da scatenare profondi conflitti sociali ed una crisi economica senza precedenti, dove attecchiranno le ideologie nazionaliste e fasciste che porteranno all’avvento al potere di Mussolini.
Sotto il profilo numismatico, all’inizio del Novecento il Regno d’Italia fa ancora parte dell’Unione Monetaria Latina e il Re, per la sua prima serie monetale, sceglie di innovare – ma senza esagerare – i nominali in circolazione facendo coniare in oro due preziosi tagli da 100 e 20 lire (queste ultime, in piccolo numero anche utilizzando l’oro delle miniere coloniali eritree) e in argento da 5, 2 e 1 lira con, al dritto, il proprio ritratto giovanile e al rovescio una maestosa aquila coronata con, sul petto, lo stemma di Savoia. Gli spiccioli di minor valore, ad 5, 2 e 1 centesimo, invece, conservano inizialmente l’impianto ottocentesco di quelli dei predecessori. Del tutto innovativa appare, invece, la moneta da 25 centesimi in nichel, coniata soltanto nel 1902 e 1903.
L’inaugurazione della nuova e modernissima sede della Regia Zecca di Roma, nel 1911, è l’occasione per emettere una solenne serie dedicata al Cinquantenario del Regno, nei tagli da 50 lire oro, 5 e 2 lire in argento e 10 centesimi in rame. Pochi anni prima, invece, erano state rinnovate alcune tipologie di normale circolazione come i centesimi in rame (nei tagli da 1, 2 e 5, mentre i 10 rimasero allo stato di prova) tipo Italia su prora, i 20 centesimi in nichel (bellissimi, con il profilo dell’Italia e la Libertà librata in volo sullo stemma sabaudo), la lira e le 2 lire in argento (con una quadriga al galoppo che porta in trionfo l’Italia). Quest’ultima tipologia viene sottoposta, diremmo oggi, a restyling proprio alla vigilia della Grande Guerra, con aggiornamento del ritratto del Re e con la modellazione di una quadriga più briosa e dinamica, esaltata soprattutto nelle rare e prestigiose 5 lire del 1914.
La fine del conflitto segna una nuova stagione per le monete italiane: dal 1918 al 1920 vengono battuti i 20 centesimi Esagono (molti dei quali, riutilizzando i tondelli delle analoghe monete umbertine, di cui spesso conservano tracce), ma anche i 10 centesimi Ape e i 5 centesimi Spiga, che resisteranno fino al 1937, ad Impero d’Africa Orientale già fondato. Una sorte simile toccherà anche ai 50 centesimi Leoni che, tuttavia, dal 1926 al 1935 saranno coniati solo per i collezionisti, su precisa volontà di Vittorio Emanuele III, per non interrompere la sequenza della serie monetale.
Il 1922 e il 1923, anni cruciali che coincidono con l’inizio del ventennio mussoliniano, segnano infine il debutto dei buoni da 1 e 2 lire coniati in nichel. Sul taglio più alto, per la prima volta, gli Italiani vedono apparire il fascio littorio in abbinamento al ritratto di Vittorio Emanuele III: il “Re numismatico”, simbolicamente e quasi un quarto di secolo prima della firma dell’atto ufficiale, abdica così a parte del proprio ruolo sovrano, e lo fa – ironia della sorte – attraverso una di quelle monete oggetto della sua passione di una vita.