L’assassinio di Umberto I

Nel 1876 sale al potere la Sinistra storica, due anni più tardi Umberto I succede al padre sul trono d’Italia. Un’Italia che si modernizza – nascono le Acciaierie Terni e le Officine meccaniche Breda, e in seguito la Fiat – e che guarda al di fuori dei propri confini, dando vita alla Triplice Alleanza e ponendo le basi di una politica coloniale che, tuttavia, avrà a fine secolo esiti disastrosi. Si amplia il bacino degli aventi diritto al voto e viene rafforzata l’istruzione obbligatoria, ma questo non basta a calmierare le tensioni sociali – milioni di contadini sono analfabeti e vivono in condizioni di estrema povertà – né a frenare epidemie ed emigrazione.

Dal punto di vista monetario, le zecche metropolitane attive con Umberto I rimangono solo Milano (fino al 1892) e Roma, che battono in oro monete da 100, 50 e 20 lire (i celebri marenghi) con il baffuto profilo del Re ed una nuova versione, più moderna, dello stemma sabaudo tra rami. Monete in argento vengono emesse con valori da 5, 2, 1 lira e 50 centesimi, mentre per i 20 centesimi debutta, nella monetazione italiana, il nichel (parte di questi spiccioli vengono coniati a Berlino dalla ditta Krupp). Si continuano infine a produrre, in rame, i tagli minori da 10, 5, 2 e 1 centesimo.

Sotto il profilo stilistico, si tratta di monete che nascono per comunicare un forte messaggio di continuità del potere regio, trasmettendone l’immagine attraverso simboli ed effigi riconoscibili e semplici, sebbene realizzate – specie per quanto riguarda i pezzi in oro e in argento – con grande raffinatezza artistica e tecnica.

L’uccisione di Umberto I, il 29 giugno del 1900 a Monza, sancisce la fine di un’epoca, anche dal punto di vista della monetazione, per l’ancor giovane Regno d’Italia: con l’avvento di Vittorio Emanuele III, infatti, si aprirà una nuova, irripetibile stagione della numismatica tricolore.

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