Il ventennio fascista

Anche se la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, a detta di molti storici, ha più le sembianze folcloristiche di una gita organizzata alla bell’e meglio che di un’invasione rivoluzionaria, col Duce al sicuro a Milano, pronto – in caso di insuccesso – a riparare in Svizzera, sta di fatto che, da quel giorno, la storia d’Italia cambia radicalmente: inizia infatti il ventennio fascista che si concluderà solo in piena II Guerra Mondiale.

Nell’arco di pochi anni, il Regno d’Italia passa da un Parlamento che comprende ancora esponenti socialisti e comunisti, popolari e moderati ad un assetto istituzionale in mano all’apparato fascista. Tra il 1925 e il 1926, la dittatura si consolida e Benito Mussolini cessa di essere Presidente del Consiglio, per diventare Primo ministro segretario di Stato, nominato dal Re e non più responsabile di fronte al Parlamento. Inoltre la legge stabilisce che nessun progetto di legge potrà essere discusso senza l’approvazione del Duce.

Per far fronte alla svalutazione della lira, l’Italia decide di emettere grandi quantità di moneta per ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente, ciò innesca un processo di inflazione che fa perdere ulteriore credito alla nostra valuta sui mercati. Le mosse per contrastare la crisi non si fanno attendere: viene messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario; viene inoltre istituita la tassa sul celibato, aumentati i prelievi fiscali e i controlli tributari. La trovata propagandistica più nota, tuttavia, è la famosa “Quota 90”. La lira viene artificiosamente rivalutata nei confronti della sterlina per far quadrare i conti dello Stato, escludendo così l’Italia dai mercati esteri, dato che con tale mossa il prezzo delle merci italiane all’estero aumenta notevolmente.

La politica sociale del regime porta alle grandi campagne di accrescimento demografico e di alfabetizzazione di massa, alle attività dopolavoristiche, ai treni popolari e alle Radio Balilla; la propaganda inquadra in una serie di attività sportive, ricreative e paramilitari la vita di grandi e piccini e grande consenso suscita il Concordato con la Santa Sede del 1929 che sancisce una nuova stagione di rapporti tra Stato e Chiesa. Grandi bonifiche come quella dell’Agro Pontino portano allo spostamento di decine di migliaia di famiglie da una parte all’altra della Penisola, mentre l’industria beneficia soprattutto del progressivo aumento – da metà anni Trenta sarà una vera escalation di commesse militari legate alle campagne di Spagna, d’Africa Orientale e, infine, alla II Guerra Mondiale.

Negli anni Trenta, in media, l’affitto mensile di un villino borghese varia dalle 200 alle 300 lire, un bracciante o un manovale ricevono fino a 300 lire al mese, un operaio specializzato può arrivare a 600 mentre un impiegato può arrivare a percepire da 1.000 a 1.300 lire mensili. Il pane costa circa 2 lire al chilo, le uova sulle 5,50 lire la dozzina, lo zucchero 6,50 lire al chilo. Un pacchetto di sigarette Giubek ha un prezzo di 1,70 lire, un abito invernale da uomo si attesta tra 200 e 250 lire, mentre ne servono almeno 30 per un robusto paio di scarpe.

Dal 1926, la Banca d’Italia è l’unico istituto autorizzato all’emissione di cartamoneta, mentre la Regia Zecca di Roma provvede all’approvvigionamento della moneta metallica per i territori metropolitani e, in seguito, anche per l’annesso Regno di Albania. E, ovviamente, il regime non manca, pian piano, di trasformare la monetazione a propria immagine e somiglianza, inserendo simboli fascisti e allegorie legate al regime e al mito della Roma imperiale. In una sola cosa Mussolini non riuscirà: sostituire il proprio ritratto a quello di Vittorio Emanuele III.

L’esaltazione della nuova era italiana inizia, su moneta, già nel 1923 quando vengono coniate le maestose 100 e le 20 lire oro con il grande fascio al rovescio, accompagnato dalla data OTTOBRE 1923. La serie aurea del Regno prosegue con un’altra moneta da 100 lire – bellissima – dedicata alla Vetta d’Italia e ai venticinque anni di regno di Vittorio Emanuele III. Nel 1931, complice la pesante crisi economica, il massimo nominale della serie metallica del Regno subisce un taglio di peso da 32,25 ad appena 8,8 grammi, per il tipo Italia su prora nel quale fa capolino un piccolo fascio littorio. Simbolo che ricompare ancora più evidente, portato in trionfo dal Littore, sulle 100 lire Impero del 1936 sulle quali, peraltro, appare il rinnovato stemma di Stato, lo scudo sabaudo “ingabbiato” tra due fasci. Stessi soggetti avranno le ultimissime 100 lire oro del ventennio, quelle – di peso ulteriormente ridotto a 5,19 grammi – coniate nel 1937 e nel 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra.

Il nominale da 50 lire oro ha invece, durante la dittatura, due sole tipologie, quella con il littore coniata fra il 1931 e il 1933 e quella, fortemente propagandistica, emessa nel 1936 sulla quale il rovescio è dominato da un’insegna militare imperiale con aquila, fascio littorio e, relegato tra questi, un piccolo scudo coronato di Savoia. Su questa, come su altre monete, inizia ad apparire oltre al millesimo l’anno, in numeri romani, relativo all’Era Fascista.

Nemmeno le monete in argento e quelle di taglio minore, in leghe vili, sfuggono alla “normalizzazione” voluta da Mussolini e se le 20 lire Littore rappresentano ancora una solenne ed elegante espressione di classicità, quelle coniate nel 1928 per il Decennale della Vittoria ritraggono sì il “Re soldato” con tanto di elmetto, ma abbinandolo ad un grande fascio littorio e al motto MEGLIO VIVERE UN GIORNO DA LEONE CHE CENTO ANNI DA PECORA. Chiudono la serie le 20 lire Impero, emesse nel 1936 per la conquista dell’Etiopia.

Nella stessa occasione viene rinnovato anche il resto della monetazione metallica: alle 10 lire Biga si sostituiscono quelle con al rovescio l’Italia imperiale su prora (su questa, come nelle altre monete della serie, Vittorio Emanuele III è appellato col titolo di RE E IMPERATORE) mentre le 50 lire – già “fascistizzate” con il tipo Aquiletta emesso dal 1926 al 1930, esaltano la crescita demografica attraverso una splendida Maternità modellata da Giuseppe Romagnoli.

Nichel e acciaio rendono lucenti le nuove monetine da 2 e 1 lira, da 50 e da 20 centesimi, mentre il fascio e l’aquila dominano gli spiccioli in rame, poi in bronzital, da 10 e 5 centesimi. Le leghe autarchiche debuttano nella monetazione italiana, specchio di un paese che, alleandosi con la Germania di Hitler e con il Giappone, si getta nella sciagurata mischia di un conflitto planetario dal quale Mussolini e il suo ventennale regime usciranno sconfitti, assieme alla monarchia sabauda che aveva unificato l’Italia, lasciando il paese sconvolto da lutti e distruzioni.