Quando nasce, il 17 marzo del 1861, il Regno d’Italia è una delle maggiori nazioni d’Europa, almeno a livello di popolazione e superficie (circa 22 milioni di abitanti su 259.320 km²), ma non può considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Accanto ad aree industrializzate e in rapida modernizzazione convivono infatti gravi situazioni di arretratezza riguardanti soprattutto il mondo agricolo e rurale, senza contare le differenze culturali e sociali tra le popolazioni del Nord, del Centro e del Meridione.
La definizione dell’Italia unita a partire dagli Stati preunitari, naturalmente, vede anche l’inizio del processo di unificazione monetaria che, di fatto, estende la lira centesimale del Regno di Sardegna a tutta la Penisola, perpetuando la tradizione che vede la moneta come simbolo di potere e di autorità. Tutti gli italiani avrebbero avuto in tasca le medesime monete, con il ritratto del re e lo stemma crociato di Casa Savoia.
Vittorio Emanuele II firma le Legge sull’unificazione monetaria, la n. 788 della del 1862. Il Senato la vota il 20 agosto con 68 favorevoli e 2 contrari; una simile maggioranza si esprime a favore anche alla Camera. A presentare la legge è Gioacchino Napoleone Pepoli, ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, che afferma: “La moneta, mentre corre nelle mani di tutti come segno ed equivalente di ogni valore è pure il monumento più popolare, più costante e più universale che rappresenti l’unità della Nazione”. Le zecche italiane ancora attive – Torino, Milano e Napoli – possono coniare le seguenti monete: in oro da 100, 50, 20, 10 e 5 lire (lega a 900/..); monete in argento da 5 lire (lega a 900/..), 2 e 1 lira, 50 e 20 centesimi (lega ad 835/..); monete in rame da 10, 5, 2 e 1 centesimo.
Si cerca, con questo ed altri provvedimenti di legge – innescando un processo che durerà decenni – di mettere ordine nel panorama monetario italiano, dove al momento dell’unificazione circolano 236 tipi di monete diverse (282 se si considerano quelle in uso nel Veneto), di cui 92 rientrano anche nel nuovo sistema legale, mentre 144 non sono conformi ad esso.
Un acceso dibattito precede la promulgazione della Legge n. 788. Il punto di confronto più controverso è la scelta del tipo di sistema monetario: monometallico aureo, monometallico argenteo o bimetallico. La prima possibilità viene scartata, perché in alcune regioni del Regno (Lombardia, Toscana, ex Regno delle Due Sicilie) circolano solo monete d’argento e spiccioli in rame e, alla fine, viene adottato un sistema bimetallico modellato su quello francese del 1803: in realtà, si tratta di un “monometallismo aureo mascherato”, perché l’argento non può essere impiegato negli scambi internazionali.
Il biondo metallo, fin dall’antichità simbolo di ricchezza e di potere, trionfa ancora una volta. I cinque nominali in oro di Vittorio Emanuele II – di esimia rarità quello da 50 lire – tutti modellati e incisi dall’artista Giuseppe Ferraris, si caratterizzano per un solenne dritto con il ritratto del Re rivolto a sinistra e, al rovescio, per un elegante scudo di Savoia coronato, decorato del Collare dell’Annunziata e affiancato da rami di alloro.
Di impianto simile parte delle monete d’argento, sulle quali – tuttavia – il volto di Vittorio Emanuele guarda a destra e, tranne che per le 5 lire, vedono una doppia produzione con rovescio occupato dallo stemma reale oppure dal valore nominale. Due, tra le pezzature in argento, si distinguono per l’originalità della loro storia: la 5 lire datata MARZO 1861 prodotta dalla zecca di Firenze su modelli di Luigi Gori (di fatto, si tratta della prima moneta commemorativa del Regno, a motivo della data di unificazione impressa al rovescio) e i 20 centesimi “stemmino” battuti a Torino nel 1863, subito ritirati dal mercato in quanto, una volta dorati, potevano confondersi con la moneta da 5 lire in oro.
Sulle monete in rame appare invece, in abbinamento all’immancabile Vittorio Emanuele II, il valore tra rami di quercia e d’alloro arricchito dal celeberrimo “stellone” che diverrà, con la Repubblica Italiana, il simbolo stesso della Nazione. Stellone che, invece, manca ai 10 centesimi battuti a Napoli per esperimento nel 1862, oggi rarissimi.
Con queste monete gli Italiani familiarizzano pian piano. Le nuove lire accompagnano i governi della Destra storica (1861-1876), l’annessione del Veneto nel 1866 e del Lazio e di Roma nel 1870, l’apertura della frattura tra Italia e Santa Sede, il brigantaggio nelle regioni meridionali e i malcontenti dovuti alla tassa sul macinato e alla leva obbligatoria. Desiderosa di integrarsi nel panorama internazionale, anche a livello monetario, l’Italia firma inoltre gli accordi che istituiscono l’Unione Monetaria Latina nel 1865 con Francia, Belgio e Svizzera e alla quale aderiranno molti paesi, non solo europei, nei decenni successivi. L’Unione verrà sciolta solo nel 1927.